Il Consorzio accoglie con favore il via libera del Ministero delle Politiche Agricole al Piano di Regolazione offerta del Parmigiano Reggiano per il triennio 2020/2022.

Il Consorzio si sente pronto ad affrontare le minacce di Trump, convinto che l’applicazione dei dazi rappresenterebbe un danno, prima di tutto, per il consumatore americano.

Reggio Emilia, 19 agosto 2019 – Il Consorzio Parmigiano accoglie con entusiasmo il via libera del Ministero delle Politiche Agricole al Piano di Regolazione offerta del Parmigiano Reggiano per il triennio 2020/2022.

Il decreto n. 8868 firmato dal Ministro Gian Marco Centinaio il 13 agosto 2019 arriva in un periodo particolarmente felice per il Re dei Formaggi. I 3,7 milioni di forme (circa 148 mila tonnellate) prodotte nel 2018 rappresentano il livello più elevato nella storia del Parmigiano Reggiano. Il Parmigiano Reggiano rappresenta, non solo il primo marchio Dop al mondo per influenza (classifica “The Most Influential Brands 2018” curata da IPSOS), ma anche il primo prodotto food DOP/IGP per valore alla produzione (rapporto Qualivita-Ismea). Un giro d’affari al consumo pari a 2,4 miliardi di euro per la denominazione di origine protetta che si proietta sempre più verso l’estero (l’export è pari al 40%): una valvola di sfogo per una produzione in continua espansione che ha bisogno di nuovi spazi di mercato.

Lo sviluppo produttivo nell’ultimo triennio (+12%) è stato accompagnato da un consolidamento dei redditi sostenuto da quotazioni del formaggio stabili e remunerative per l’intera filiera. Nel 2019 la quotazione del prodotto alla produzione ha sfondato i il tetto storico degli 11 euro al chilo (stagionatura 12 mesi).

Un contributo importante a questi risultati” afferma il Presidente Nicola Bertinelliè venuto proprio dal Piano produttivo che negli ultimi anni ha dato certezze alla programmazione delle imprese ed accompagnato una crescita regolare e risorse aggiuntive per un grande rilancio della marca Parmigiano Reggiano“.

Con il nuovo Piano regolazione offerta 2020-2022 vengono confermati i pilastri precedenti: quote di produzione assegnate agli allevatori e contribuzione aggiuntiva versata da chi supera i livelli soggettivi. Un piano innovativo, semplice ed efficace che permetterà alle aziende di crescere in modo razionale e con flessibilità, così da potere reagire prontamente ai cambiamenti del mercato.

Per adattare l’efficacia dello strumento alle condizioni produttive, è possibile infatti intervenire di anno in anno sul punto di riferimento, sul livello di contribuzione, e con sconti per politiche mirate legate alla qualità o categorie specifiche di produttori. Già entro il 15 ottobre 2019 il Consiglio di Amministrazione e l’Assemblea saranno chiamati a formulare importanti proposte in tal senso.

Grazie a questo risultato” continua Bertinelliora potremo concentrarci al 100% sulla minaccia dei dazi Usa che proprio in questa calda estate rischia che gettare al vento il lavoro di anni. Ma siamo convinti di poter far comprendere all’Amministrazione Usa che i dazi sul Parmigiano Reggiano sarebbero prima di tutto un boomerang per i consumatori americani e le tante imprese Usa che vivono con il nostro prodotto“.

Il mercato americano è, dopo la Francia, il secondo mercato estero per il Re dei Formaggi. Ogni anno le aziende esportano oltre 10 mila tonnellate e i volumi sono destinati ad aumentare. Il consumatore americano è un consumatore evoluto, attento alla sostenibilità, alla tranciabilità, alla naturalità del prodotto e ai valori che rendono il Parmigiano Reggiano un’icona del Made in Italy. Per questo, il Consorzio ha grandi progetti negli Stati Uniti e pensa che in tempi brevi possano diventare il primo mercato estero, fino a raddoppiare le quote da qui al 2025.

Trump minaccia di applicare un dazio pari al valore del prodotto importato. Ciò significa che il dazio passerebbe da 2,15 dollari a 15 dollari al kg. Considerando i vari passaggi che subisce il formaggio da quando arriva all’importatore a quando raggiunge lo scaffale del supermercato, si può stimare che il costo del Parmigiano Reggiano passerebbe da 40 dollari a 60 dollari al kg. Ad un aumento di prezzo corrisponderà inevitabilmente un crollo dei consumi. In queste ultime settimane il Consorzio si è relazionato con gli operatori americani che trasformano il prodotto, essi hanno prospettato uno scenario inquietante, vale a dire una riduzione dei consumi pari all’80-90%.

 A beneficiarne sarebbe senza dubbio il Parmesan prodotto negli Stati Uniti che, pur non avendo nulla a che spartire con il Re dei Formaggi, può essere grattugiato sulla pasta ad un costo decisamente contenuto. Il Parmigiano Reggiano è una DOP e ha un legame indissolubile con il territorio d’origine del quale è espressione. Il consumatore che acquista il Parmesan è spesso convinto di acquistare un prodotto italiano. Il Consorzio ha mostrato ad un campione significativo di consumatori americani un Parmesan che riportava in etichetta l’indicazione esplicita “Made in Winsconsin”. Due terzi del campione intervistato ha dichiarato di ritenere il prodotto di provenienza italiana. Per questo motivo il Consorzio del Parmigiano Reggiano si batte affinché, anche fuori dall’Unione Europea, il nome Parmesan possa essere utilizzato solo per l’autentico prodotto Parmigiano Reggiano. Altrimenti, non saranno solo le aziende italiane a subire un danno, ma tutti i consumatori americani che vengono ingannati perché acquistano un fake nella consapevolezza di acquistare il vero Parmigiano Reggiano.

Infine, non bisogna dimenticare che il Parmigiano Reggiano genera ricchezza anche per i trasformatori degli Stati Uniti. Solo un 25% del prodotto finisce negli store in forme intere senza subire lavorazioni. Le aziende americane porzionano le forme, producono diversi formati, grattugiano il prodotto, lo utilizzano per differenti preparazioni. Questo business vale circa 200 milioni di dollari e vanno tutti nelle tasche degli Stati Uniti. Nel caso in cui aumentassero i dazi e la quota export si riducesse drasticamente, questo indotto andrebbe a scomparire. E questo discorso vale anche per il gettito generato dai dazi. Se Trump applicasse veramente un dazio pari al valore del prodotto importato, le vendite di ridurrebbero a tal punto da produrre un gettito inevitabilmente inferiore a quello attuale che è pari a 22 milioni di dollari.

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